lunedì 13 febbraio 2012

Atene brucia. Non bruciamo l'Europa.


E Atene brucia.
Devo ammettere che le immagini che ho visto sul web fanno impressione e anche se qualcuno sfoga le proprie frustrazioni di rivoluzionario da tastiera esultando per la rivoluzione in corso, auspicandone una diffusione in tutto il continente, io invece sono più che altro preoccupato e l’idea di una guerra civile non mi esalta per nulla, anzi.
Ma cosa sta succedendo davvero e cosa è successo nella culla della democrazia?

È successo che il passato governo di destra aveva truccato i conti per rispondere in modo assolutamente fittizio ai parametri fissati dall’Unione Europea, ma non aveva fatto realmente nulla per ridurre sprechi, debito pubblico e spese incontrollate.

Nel 2009 il PASOK, partito socialista ellenico, vince le elezioni e il primo ministro Papandreou si trova di fronte alla realtà dei fatti: la Grecia non ha i conti in ordine e il rapporto deficit/pil è al 12,7%, circa 4 volte il limite consentito dall’UE e la disoccupazione è intorno al 10%. Un disastro. Disastro doppio, perché la Grecia è già nella zona Euro e una crisi ellenica rischia di trascinare nel baratro tutto il continente, che già di suo non gode di ottima salute.

A questo punto è chiaro che si debba intervenire: siamo all’inizio del 2010, l’Europa perde tempo sulla questione “aiuti si, aiuti no”.

Papandreou inizialmente fa quel che può, ma senza l’UE non può risolvere da solo la situazione.
La destra greca nel frattempo, dimenticandosi di essere la vera responsabile del disastro, alza la voce, attacca il PASOK, dichiara inaccettabili le misure di tagli e sacrifici, accusa un po’ a casaccio chiunque le capiti a tiro… ma solo a me ricorda qualcosa?

Il tempo comunque passa e la situazione peggiora. Le agenzie di rating continuano a declassare il paese. Gli aiuti arrivano col contagocce e Papandreou è costretto alle dimissioni.

Papademos, uomo della banche e del capitalismo, gli succede e inizia l’ultima fase, in ordine di tempo, della crisi: sia arriva alle misure draconiane che tutti conosciamo: tagli selvaggi, mercato del lavoro stravolto in cui saltano le tutele, riduzione degli stipendi.

In una condizione del genere era facile capire quello che sarebbe successo e i disordini di questi giorni a mio parere erano più che prevedibili. Si è tirata evidentemente troppo la corda e la situazione sta ora sfuggendo di mano. Questi disordini erano prevedibili, ma nulla è stato fatto per evitarli.
Per evitarli sarebbe bastato non fare, come si dice, macelleria sociale. Sarebbe bastato non scaricare tutto il costo della crisi sulle classi più deboli, tagliare gli sprechi e i privilegi evitando però di indebolire e impoverire le classi lavoratrici, andare a risanare i conti partendo dalle classi abbienti e dai grandi patrimoni. Sarebbe insomma bastato che un governo socialista portasse avanti politiche socialiste senza farsi dettare la linea dalle lobbies del capitalismo.
Il governo socialista si è invece mostrato debole e poco coraggioso, finendo per dover cedere il passo e consegnare il paese a chi di fatto è una sorta di commissario ben visto da Europa, banche e capitalisti.

Questa la situazione in Grecia, ma nel resto d'Europa?
Non dovremmo stare tranquilli, dato che il trend è quello di allinearsi alle politiche liberiste imperanti: basti vedere cosa è accaduto in Spagna, dove a pochi mesi dall'insediamento del nuovo governo conservatore si è varata una misura che rende più economico il licenziamento, dimezzando di fatto il risarcimento da pagare al lavoratore.
La tesi bizzarra è che facilitare i licenziamenti favorirebbe l'occupazione. Come, di grazia? Che senso ha? Come si può far crescere l'occupazione sbattendo fuori dalle aziende i lavoratori? Al limite una misura del genere favorisce la precarizzazione, ma credo non interessi a nessun lavoratore o aspirante tale.
Anche in Italia (e quindi purtroppo anche in Sardegna) il dibattito intorno a questo tema sta procedendo e le linee guida sembrano purtroppo sempre le stesse: anzichè estendere a tutti le tutele, si pensa di abolire l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori anche laddove già si applichi. Articolo che, lo ricordo per chi fosse distratto, non vieta il licenziamento per questioni legate a crisi economiche aziendali, così come non vieta di licenziare chi non svolga a dovere il proprio lavoro o danneggi l'azienda, ma vieta il licenziamento senza giusta causa, che è ben altra cosa. Lo scandalo semmai è che alle aziende al di sotto dei 15 dipendenti non venga applicato. Lo scandalo sono i lavori precari e sottopagati e le finte partite iva.
Lo scandalo sono le politiche ultraliberiste che stanno imperversando e travolgendo la società europea.

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