martedì 21 febbraio 2012

Confusi e felici


Ma alla fine Napolitano cosa avrebbe dovuto dire?

Che la nazione sarda ha tutto il diritto alla sua indipendenza e che in fondo lui non è il presidente dei sardi?

E certo che mi sarebbe piaciuto, ma non è così che vanno le cose: Giorgio Napolitano è il presidente della Repubblica Italiana, che considera la Sardegna come parte integrante del proprio territorio e quindi il suo discorso è coerente da questo punto di vista.

Se a questo aggiungiamo un anno di ubriacatura di cerimoniosa retorica risorgimentale per le celebrazioni della presunta “unità d’Italia”, il quadro è completo.

Quello che stupisce è piuttosto il comportamento degli amministratori sardi, Massimo Zedda e Ugo Cappellacci in primis.
Analizziamo i discorsi fatti in occasione della sua visita nella capitale della Sardegna:

il presidente della Regione Autonoma della Sardegna Ugo Cappellacci si profonde subito in interpretazioni alquanto bizzarre, toccando punte di comicità involontaria:

Se i sardi non avessero scelto, nei momenti più importanti della loro storia, di mettere da parte gli egoismi e di sacrificare i loro interessi più immediati al bene della Nazione, oggi la nostra Isola non sarebbe così pienamente inserita nel Paese. E anche l’Italia, con tutta probabilità, non sarebbe la stessa.

Dove sarebbe la scelta? Si riferisce forse ai sardi morti della grande guerra? Quelli non scelsero: vennero mandati al macello senza tanti complimenti, imbottiti di alcool e senza possibilità di battere in ritirata.

Oppure parla della “fusione perfetta”, che subito dopo citerà? Quella non fu il popolo a volerla, ma un manipolo di notabili in piena solitudine, abbagliati dal voler essere più uguali dei piemontesi.

O si riferisce a se stesso e ai suoi predecessori che anteposero gli interessi italiani a quelli sardi? Quella fu scelta solo loro.

Ma continuiamo, perché è esilarante:
L’Unità – ha concluso il presidente Cappellacci - non deve essere soltanto una data da commemorare ma un valore da vivere e testimoniare ogni giorno e soprattutto da tradurre in pratica con atti concreti. L’ho detto nei giorni scorsi di fronte al Parlamento sardo: smettiamo di pensare come un popolo e cominciamo ad essere un popolo sardo, italiano, europeo. Smettiamo di parlare di Unità e cominciamo ad essere uniti come sardi, come italiani, come europei. Siamo i motori del cambiamento che desideriamo: cambiamo noi stessi per poter cambiare il Paese. Abbiamo la capacità e le energie per riuscirci e lo abbiamo già dimostrato. Solo così il futuro sarà nostro, il futuro dell’Italia e il futuro della Sardegna. Perché non possiamo immaginare uno dei due senza l’altro.

Con buona pace di chi, non si sa su che basi, vedeva in lui un probabile eroe del popolo sardo. Il PSd’Az poi si faccia una domanda e si dia una risposta.

E ancora cita Cossiga, dicendo che “Cossiga stesso esaltava questo sacrificio dei sardi da cui nacque il nucleo fondativo del Regno d’Italia”: quindi ancora ci raccontiamo la balla secondo cui l’Italia nacque in Sardegna. Peccato che la Sardegna nel regno omonimo contasse come il due di briscola e che l’Italia la conquistarono i Savoia.

Ma verso la conclusione si raggiungono vette da brivido… tenetevi forte:

Penso che il cammino, difficile ma al tempo stesso esaltante, compiuto dalla Sardegna per entrare a far parte a pieno titolo della Nazione italiana possa costituire un esempio nei tempi che stiamo vivendo

Quindi ammette che i sardi non sono italiani, ma che la loro italianizzazione è una mera forzatura. Che a lui evidentemente piace, ma ad altri fortunatamente no.

 Il sindaco di Cagliari si è invece profuso in un elogio melenso all’unità nazionale (italiana, naturalmente) condendola con citazioni ad effetto e una serie di inesattezze:

“Al processo risorgimentale e di unificazione nazionale Cagliari e la Sardegna parteciparono con convinzione ed anzi con entusiasmo; centinaia furono i sardi caduti nelle tre guerre di indipendenza. E permettetemi di sottolineare che furono soprattutto dei giovani, come quelli che oggi sono presenti qui in sala, che credettero in quell’idea e per essa si sacrificarono.”

Entusiasmo è una parola grossa: qualcuno certamente partecipò, ma alla maggioranza della popolazione poco importava di ciò che accadeva oltremare. Quanto alle centinaia di morti, non credo sia il criterio giusto per leggere la storia dei popoli. Se è per quello molti sardi perirono anche nelle guerre della Corona di Spagna: se facciamo il conto dei morti, attività assai macabra, non vorrei che andasse a finire che siamo spagnoli. Lasciamo perdere, che è meglio.

Pur nell’imperversare dei revisionismi – in sede storiografica, politica e persino cinematografica – ed anzi, proprio a fronte delle rivisitazioni del Risorgimento in chiave ipercritica e nostalgica dei bei tempi che furono, o che sarebbero stati, al Nord come al Sud e nelle Isole, prima dell’Unità d’Italia, noi ci chiediamo, e non possiamo non chiederci: ma davvero saremmo oggi più liberi e più forti, e meglio attrezzati a far fronte ai gravi problemi che derivano dalla crisi e dal “ mondo grande
e terribile “, se fossimo ancora oggi, per dirla con il poeta, “ un popol diviso per settedestini, / in sette spezzato per sette confini?

Come? Di quali revisionismi parla? Di quali nostalgie dei bei tempi che furono? Sia ben chiaro che l’indipendentismo (o almeno la sua grandissima parte), tanto abbiamo capito che si stia riferendo a questo, non è nostalgia di un’ipotetica età dell’oro, ma semplice volontà di creare uno stato indipendente per la nazione sarda, come previsto  per ogni nazione senza stato anche a livello internazionale. Dei “settedestini”, sinceramente, poco ci interessa: ci basta il nostro.

Credo si possa rispondere di no, e non già per mera accettazione del fatto compiuto, ma perché davvero con l’Unità d’Italia sono state poste le premesse per il successivo svolgersi, in senso democratico e civile, della storia del nostro Paese, fino alla resistenza contro il fascismo ed il nazismo ed alla conquista della Costituzione repubblicana.

Ricorderei al sindaco che anche la Sardegna spagnola era fatto compiuto quando fu, come lo fu la Jugoslavia prima del suo crollo o come lo fu l’URSS: meglio che la storia non la si legga a suon di fatti compiuti, perché non è un buon metodo. Oltretutto la ricostruzione è fantasiosa e fa acqua da tutte le parti, considerato che annessioni territoriali, guerre e fascismo non sono per forza di cose tappe necessarie ed imprescindibili per arrivare alla democrazia: una Sardegna indipendente avrebbe eventualmente potuto arrivarci da sola, magari anche senza tutto quel sangue versato. Ma lo sappiamo che la storia non si fa con i “se” e con i “ma”.

Ma teniamoci nuovamente ben saldi alla sedia:

In Sardegna, peraltro, il rigore e la sobrietà sono usuali fino a costituire quasi la cifra del modo di intendere la vita, quella domestica e quella sociale

Sindaco, quella che lei chiama pomposamente sobrietà, si chiama in realtà miseria. La differenza è abissale.

Di questo discorso salvo soltanto la parte in cui sono stati ricordati il rapimento di Rossella Urru e la scomparsa del prof. Giovanni Lillliu.

lunedì 20 febbraio 2012

Perchè il gasdotto non ci ucciderà

Proviamo a fare un po' di chiarezza sulla questione del gasdotto che dovrebbe attraversare la nostra isola, costruito dal consorzio GALSI, cercando di non cadere nel tranello di un terrorismo psicologico a buon mercato.
Sentiamo alcuni suoi detrattori parlare del gasdotto come "autostrada della morte" o addirittura di un tassello per il "genocidio del popolo sardo". Perdonatemi, ma mi sembra un tantino un'esagerazione.
Capisco che si possa essere contrari alla realizzazione di un'opera per diverse ragioni, ma non si può scadere nell'esagerazione.
Poi si dice che "gli indipendentisti" sono contrari alla realizzazione dell'opera: e chi l'ha detto?
Ho sentito fare questa affermazione da un esponente di un partito indipendentista, non sto a dire quale, tanto ha poca importanza: ma perchè qualcuno si arroga il diritto di parlare a nome di tutti?
L'indipendentismo non è una massa indistinta che pensa all'unisono come qualcuno vorrebbe, ma è fatto, per fortuna, di partiti e individui diversi tra loro, con idee proprie e distinte.
Evitiamo quindi, cortesemente, di parlare a nome degli altri se non espressamente delegati. E il mio partito non mi risulta che abbia incaricato qualcuno di parlare a suo nome.

Ma andiamo oltre, al nocciolo della questione.
I dubbi li ho anche io ovviamente, perchè certo far seguire la realizzazione di un'opera del genere da un governo regionale il cui presidente si è dato del "babbeo" da solo per aver dato credito alla "cricca", tra un'aragostata e l'altra (prendiamo comunque per buona l'ipotesi del babbeo, che sarebbe comunque la meno grave tra quelle in campo), non mi lascia molto tranquillo ed è ovvio che dovremo sempre e comunque vigilare.
Ma l'opera in sé è utile o no? Perchè è questa la vera domanda da farsi.

Il mio parere è che l'opera sia utile e strategicamente importante in una terra come la Sardegna che dipende quasi esclusivamente dal petrolio, risorsa costosa e fortemente inquinante.
I vantaggi dell'utilizzo del metano come combustibile sono fondamentalme due: basso costo ed emissioni inquinanti minori rispetto al petrolio.
E non è poco, perchè non solo le utenze domestiche, ma anche le imprese potranno quindi contare su una fonte energetica più a buon mercato e meno impattante sulla qualità dell'aria.
I detrattori dicono che si tratta di un tubo che dovrà attraversare l'intera isola da nord a sud "sventrandola": in Italia ci sono migliaia di chilometri di gasdotti... vi pare una terra sventrata?
Stessa cosa accade negli altri stati europei. Noi cosa abbiamo di così particolare che impedisca di realizzarne uno?
La cartina che segue rappresenta la mappa dei gasdotti in Europa:


Secondo la teoria dei comitati anti Galsi l'Europa sarebbe quindi un continente sventrato e una polveriera pronta ad esplodere da un momento all'altro.
Trovo questa una posizione a dir poco esagerata.
Innanzitutto è bene precisare che il gasdotto è un'opera interrata, quindi nessuno la vedrà: inutile quindi mostrare immagini di enormi tubi a cielo aperto che corrono per chilometri e parlare di anaconda d'acciaio o amenità varie, perchè non è certamente il nostro caso.

Poi si dice che nel progetto GALSI non sono previsti gli allacci per la distribuzione sul territorio. Non è proprio così: semplicemente le leggi italiane prevedono che l'attività di trasporto del gas e quella di distribuzione siano separate, quindi GALSI si occupa del trasporto, mentre alla distribuzione e vendita dovranno provvedere le aziende che si occupano di questo passaggio.
Oltretutto alcune aree urbane si sono già dotate di una rete di distribuzione locale che basterà allacciare alla condotta: le reti di distribuzione dell'aria propanata sono infatti perfettamente compatibili con l'uso del metano.

Veniamo al prezzo: si dice "vedrete che il metano in sardegna costerà più caro". E perchè mai? Al limite, introducendo un combustibile concorrente del petrolio si potrebbe abbassare anche il prezzo dei derivati di quest'ultimo.
Chiediamoci come mai proprio le aziende che producono e commercializzano derivati dal petrolio (quindi anche il gpl) si opponevano più o meno palesemente alla costruzione del gasdotto.
Mi viene in mente poi il "Progetto Eleonora" che prevedeva la trivellazione di un'area nei pressi di Oristano per la ricerca di petrolio, ma che con l'avvicinarsi dell'inizio dei lavori per il Galsi si era trasformato magicamente in un progetto di ricerca di metano. Può essere che l'azienda ipotizzasse realmente che lì sotto ci fosse un giacimento di metano, ma il dubbio che la cosa servisse soprattutto a raffreddare l'operazione Galsi continua a rimanere. Può anche essere che mi sbagli, chiaramente.

"Eh, ma la sicurezza?"
Ma vogliamo forse credere che un sistema in cui c'è una bombola di gpl per ogni appartamento, in mano a chiunque, sia una più sicuro di una condotta costantemente controllata da professionisti e dotata di tutta una serie di sistemi di sicurezza?



Poi ancora si potrebbe obiettare che ci sono anche le fonti rinnovabili. Si, certo, ma hanno un "piccolissimo" problema: l'energia prodotta con questi sistemi deve essere consumata subito in quanto la tecnologia non è ancora in grado di stoccarla. Quindi è chiaro che non possiamo legarci del tutto a fonti che non siano costantemente disponibili.
Se fossimo in una sala operatoria e mancasse la corrente non credo sarebbe piacevole... quindi meglio poter contare su energia costante.
Piuttosto dovremmo, questo si, investire sulla ricerca per trovare il modo di immagazzinare l'energia prodotta da fonti rinnovabili e poter abbandonare i combustibili fossili.
Sempre ammesso che nessuno poi dica che le pale eoliche o i pannelli fotovoltaici sono brutti (o che esplodano... perchè se va in corto circuito, qualunque sistema di produzione elettrica può prendere fuoco).

Insomma, la sostanza è che si può essere legittimamente favorevli o contrari, ma il gasdotto non ci ucciderà.




lunedì 13 febbraio 2012

Atene brucia. Non bruciamo l'Europa.


E Atene brucia.
Devo ammettere che le immagini che ho visto sul web fanno impressione e anche se qualcuno sfoga le proprie frustrazioni di rivoluzionario da tastiera esultando per la rivoluzione in corso, auspicandone una diffusione in tutto il continente, io invece sono più che altro preoccupato e l’idea di una guerra civile non mi esalta per nulla, anzi.
Ma cosa sta succedendo davvero e cosa è successo nella culla della democrazia?

È successo che il passato governo di destra aveva truccato i conti per rispondere in modo assolutamente fittizio ai parametri fissati dall’Unione Europea, ma non aveva fatto realmente nulla per ridurre sprechi, debito pubblico e spese incontrollate.

Nel 2009 il PASOK, partito socialista ellenico, vince le elezioni e il primo ministro Papandreou si trova di fronte alla realtà dei fatti: la Grecia non ha i conti in ordine e il rapporto deficit/pil è al 12,7%, circa 4 volte il limite consentito dall’UE e la disoccupazione è intorno al 10%. Un disastro. Disastro doppio, perché la Grecia è già nella zona Euro e una crisi ellenica rischia di trascinare nel baratro tutto il continente, che già di suo non gode di ottima salute.

A questo punto è chiaro che si debba intervenire: siamo all’inizio del 2010, l’Europa perde tempo sulla questione “aiuti si, aiuti no”.

Papandreou inizialmente fa quel che può, ma senza l’UE non può risolvere da solo la situazione.
La destra greca nel frattempo, dimenticandosi di essere la vera responsabile del disastro, alza la voce, attacca il PASOK, dichiara inaccettabili le misure di tagli e sacrifici, accusa un po’ a casaccio chiunque le capiti a tiro… ma solo a me ricorda qualcosa?

Il tempo comunque passa e la situazione peggiora. Le agenzie di rating continuano a declassare il paese. Gli aiuti arrivano col contagocce e Papandreou è costretto alle dimissioni.

Papademos, uomo della banche e del capitalismo, gli succede e inizia l’ultima fase, in ordine di tempo, della crisi: sia arriva alle misure draconiane che tutti conosciamo: tagli selvaggi, mercato del lavoro stravolto in cui saltano le tutele, riduzione degli stipendi.

In una condizione del genere era facile capire quello che sarebbe successo e i disordini di questi giorni a mio parere erano più che prevedibili. Si è tirata evidentemente troppo la corda e la situazione sta ora sfuggendo di mano. Questi disordini erano prevedibili, ma nulla è stato fatto per evitarli.
Per evitarli sarebbe bastato non fare, come si dice, macelleria sociale. Sarebbe bastato non scaricare tutto il costo della crisi sulle classi più deboli, tagliare gli sprechi e i privilegi evitando però di indebolire e impoverire le classi lavoratrici, andare a risanare i conti partendo dalle classi abbienti e dai grandi patrimoni. Sarebbe insomma bastato che un governo socialista portasse avanti politiche socialiste senza farsi dettare la linea dalle lobbies del capitalismo.
Il governo socialista si è invece mostrato debole e poco coraggioso, finendo per dover cedere il passo e consegnare il paese a chi di fatto è una sorta di commissario ben visto da Europa, banche e capitalisti.

Questa la situazione in Grecia, ma nel resto d'Europa?
Non dovremmo stare tranquilli, dato che il trend è quello di allinearsi alle politiche liberiste imperanti: basti vedere cosa è accaduto in Spagna, dove a pochi mesi dall'insediamento del nuovo governo conservatore si è varata una misura che rende più economico il licenziamento, dimezzando di fatto il risarcimento da pagare al lavoratore.
La tesi bizzarra è che facilitare i licenziamenti favorirebbe l'occupazione. Come, di grazia? Che senso ha? Come si può far crescere l'occupazione sbattendo fuori dalle aziende i lavoratori? Al limite una misura del genere favorisce la precarizzazione, ma credo non interessi a nessun lavoratore o aspirante tale.
Anche in Italia (e quindi purtroppo anche in Sardegna) il dibattito intorno a questo tema sta procedendo e le linee guida sembrano purtroppo sempre le stesse: anzichè estendere a tutti le tutele, si pensa di abolire l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori anche laddove già si applichi. Articolo che, lo ricordo per chi fosse distratto, non vieta il licenziamento per questioni legate a crisi economiche aziendali, così come non vieta di licenziare chi non svolga a dovere il proprio lavoro o danneggi l'azienda, ma vieta il licenziamento senza giusta causa, che è ben altra cosa. Lo scandalo semmai è che alle aziende al di sotto dei 15 dipendenti non venga applicato. Lo scandalo sono i lavori precari e sottopagati e le finte partite iva.
Lo scandalo sono le politiche ultraliberiste che stanno imperversando e travolgendo la società europea.

domenica 5 febbraio 2012

Tu quoque?


Ma che palle! Un altro blog?

Si e ve lo beccate tutto.

Ma perchè?

Scusa eh, ce l'hanno cani e porci, perchè non posso averlo io che nemmeno ho ancora capito a quale delle due categorie appartengo?

Ma credi di poter dire qualcosa di talmente originale che proprio se ne sentisse la mancanza?

Assolutamente no, come per tutti. Ma almeno io lo dichiaro.

Cominciamo col dire chi sei, ammesso che a qualcuno interessi?

Ovviamente non interessa a nessuno, comunque sono Fabio Cocco, noto (a chi?) anche come "Soares", indipendenstista e di sinistra.
Qualche mese fa, dopo anni di varie peripezie nei movimenti indipendentisti sardi, ho fondato, insieme ad alcuni compagni, Manca Democràtica, il primo partito indipendentista in Sardegna che abbia dichiarato di fondare le proprie basi ideologiche nel solco della sinistra democratica europea. Se volgiamo una piccola rivoluzione nell'indipendentismo isolano, finora ingessato tra nazionalismi conservatori, estremismi, trasversalismi amorfi e centrismi non troppo dissimulati.
Nella vita vedo gente e faccio cose e quando non vedo gente e non faccio cose lavoro nel campo della comunicazione.

E nonostante lavori nella comunicazione fai una presentazione così cretina?

Ebbene si. Fattene una ragione, chiunque tu sia.

Qual è il punto di vista di questo blog?

È il mio punto di vista: il mondo osservato e commentato da una prospettiva di sinistra;
una serie di mie personali riflessioni filtrate dal mio modo di vedere le cose;
una visione soggettiva e dichiaratamente di parte.
Non avrò mai l'arroganza di parlare a nome di qualcun altro, men che meno di un popolo (e in questi tempi di populismo imperante non è una cosa da poco): qui avrete sempre e solo la mia personale e schieratissima idea.

Perchè questo nome?

E perchè un altro? Forse perchè è la mia voce personale. Rossa come le bandiere del socialismo.
Qualcuno, dall'alto del suo essere "rivoluzionario", obietterà che sono "solo" un socialdemocratico: si, certo, ma le bandiere dei socialisti europei sono rosse, quindi rassegnatevi pure.

Va bene... e con cosa ci annoierai?

Non lo so... o meglio, credo un po' con tutto quello che mi verrà in mente.
Si è comunque liberi di leggere, di non leggere e se si vorrà di commentare.

Insomma, non mi sembri molto originale

E quando mai ho avuto questa pretesa?

Ok, scàllati!

Grazie e altrettanto.