mercoledì 21 giugno 2017

Torra tui? ma no depiaus no si biri prus? (autointervista)

Torra inoi? Ma non avevi smesso di stressarci?
Quattro anni fa il mio ultimo articolo.
Quattro anni fa decisi che questo blog doveva morire sotto i colpi della noia, della disillusione, dello schifo per quello che nella politica stavo vivendo.
Negli ultimi venticinque anni, ovvero da quando mi occupo attivamente di politica, ho fatto scelte che si sono rivelate a volte illusorie, altre sbagliate, altre ancora addirittura scellerate (ed evito di parlarne), ma è il mio percorso personale e non posso rinnegarlo. Posso magari considerare inutili, stupide e dannose alcune tappe, ma alla soglia dei 41 anni credo di avere ben chiaro quello che sono e quello che è il mio pensiero. Ho raggiunto ampiamente l'età adulta, sono consapevole delle mia visione del mondo e allora ho deciso, su suggerimento di una persona sincera e leale (stronza e antipatica, ma a cui voglio bene in modo irrazionale, nonostante le quasi quotidiane litigate furibonde), che è giunto il momento di riprendere in mano questa pagina e rompere le palle al mondo con la mia antipatia gratuita.

Si, va bene, ma quindi?

E quindi niente, sono sempre io, ma con qualche "mutamento genetico" a livello di pensiero: sono rimasto socialista e sono rimasto europeista e indipendentista, ma consapevole del fatto che l'ultimo termine potrebbe assumere significati facilmente fraintendibili: essere indipendentista per me vuol dire essere consapevole della necessità di riaffermare quotidianamente non solo l'esistenza (facile!) della nazione sarda, ma il proprio diritto a esistere ed essere riconosciuta a livello globale e l'aspirazione legittima ad avere prima o poi uno stato nostro federato all'Unione Europea (quando e se finalmente diventerà una vera federazione come la immaginarono i suoi padri fondatori). Ma anche la consapevolezza che ad oggi non siamo in grado di farlo. Eresia!! No no, nessuna eresia: dove vogliamo andare con gli indipendentisti che abbiamo in circolazione? Ve lo dico io, da nessuna parte. E con chi indipendentista non è? Non molto lontano: si tratta nel migliore dei casi di politica di piccolo cabotaggio, senza visioni lungimiranti, senza progetti a lungo termine. Si veleggia lungo la costa e non si ha il coraggio di prendere il largo.

Tutto chiaro, ma allora che soluzione hai? E che scelta hai fatto nel frattempo?

Soluzioni non voglio darne perché non sono così presuntuoso, ma scelte si, ne ho fatte e sono stato criticato da tutto o quasi il mondo indipendentista: abbandonati i partiti indipendentisti (ho perso il conto delle sigle che lo compongono, complice il fatto che il 99% di esse non hanno nemmeno l'ombra di una base ideologica e le poche ce ce l'hanno sono ferme al secolo scorso), dopo una breve pausa di riflessione mi iscrissi al PD. Si si, proprio quello.

Ma sei matto?

E perché mai? Si è trattata di una scelta ponderata: è l'unico partito che mi ha consentito di essere indipendentista e socialista senza scassarmi le palle (scusate l'espressione colorita) e senza chiedere grandi spiegazioni. Un partito grande, con milioni di iscritti in tutta Italia, che se ne sbatte se un tale Fabio Cocco a Quartu Sant'Elena, provincia di Cagliari (provincia della provincia di un'isola persa in mezzo al mare), insieme ad altri iscritti al partito, è indipendentista. Ma non perché non contiamo niente (forse anche quello, va bene), ma perché nasce federalista e federale e quindi lascia i territori liberi di organizzarsi come credono, pur nel rispetto dello statuto. Ed è talmente federalista (all'eccesso) che lascia la Sardegna in mano a is baronis, quel manipolo di personaggetti (per dirla alla De Luca) che da decenni fanno il bello e il cattivo tempo sull'isola, pur di non immischiarsi in faccende locali. ed ecco che allora tocca a chi nel partito vuole cambiare direzione imporsi e lottare per raggiungere il terzo millennio. Non è facile, lo ammetto, ma il vantaggio è che a Roma hanno cose più serie a cui pensare e la provincia della provincia rimane nostro appannaggio.

Detta così sembra una porcheria

No, non lo è affatto: è libertà. Siamo liberi di sbagliare o di fare la cosa giusta, ma possiamo farlo senza una guida esterna. E non è cosa da poco. Qui si misura la nostra capacità di essere popolo adulto. Non so se lo siamo, forse no, ma potremmo imparare ad esserlo.

Però non hai rinnovato la tessera...

No perché voglio prima essere sicuro che gente come D'Alema e Bersani si tolgano dalle scatole, che loro si mi disturbano con la loro presenza.

E Renzi?

Mi definisco un renziano con qualche "ma"...
Renzi non è infallibile, ovviamente, e non è un uomo della provvidenza (e Dio ce ne scampi, che l'ultimo che si è proposto come tale ha fatto tanti e tali danni che ancora ce li portiamo dietro), ma è un politico che sa quello che vuole, ha lungimiranza sufficiente per fare qualcosa che fino ad oggi non era stato fatto: innanzitutto il "democristiano" Renzi ha fatto del PD un partito socialista con l'adesione al PSE (scusate se è poco, da socialista europeo), poi ha capito che il progresso passa dallo sviluppo economico (troppo lungo, se volete ne parliamo in un altro momento), ma anche dalle conquiste sui diritti civili (dopo decenni abbiamo una normazione delle unioni civili e il divorzio breve. Ok, anche io vorrei il matrimonio paritario, ma intanto abbiamo portato a casa un risultato che coi governi passati era impensabile). Dopodiché e detto questo, è il primo ad aver portato un partito socialista italiano (si si, sono indipendentista, ma non vivo sulla Luna, quindi parlo di Italia) al 40%, primo partito in Europa. Da socialista non mi pare poco.

Ma quindi non sei più indipendentista?

Questa domanda è grave per due motivi: il primo è che non hai ascoltato quello che ho detto prima, il secondo è che si tratta di un'autointervista... Evito anche di rispondere!

Ok... Hai mai pensato ad iscriverti nuovamente a un partito chiaramente indipendentista?

Ma ti sembro masochista? Ho già dato, grazie.

Consideri lo stato italiano un nemico?

Se non continuasse ad essere un'intervista a me stesso ti darei del cretino, ma dato il caso, evito.
No, ovviamente. Prima di tutto perché non ha senso per mille ragioni, ma poi sono italiano per nascita (hai presente Torino, prima capitale d'Italia?) e per metà da parte di madre. Al limite potremmo interrogarci su cosa sia davvero l'Italia, quello stato nato dopo l'unità del 1861, ma mi sembra un discorso lungo e complesso e forse ormai fuori tempo massimo, quindi eviterei.

Ma quindi Boxi Arrubia riprenderà a vivere?

Ma cosa ne so? Per ora abbiamo scritto questa pagliacciata, poi si vedrà. Ora se permetti mi finisco la birretta notturna e defaticante e vado a dormire.

lunedì 7 ottobre 2013

Cercare soluzioni politiche o raccontar favole?



Preferite chi cerca soluzioni politiche o chi racconta favole?
La mia non vuole esse una sterile provocazione, ma un'analisi della realtà politica che ci circonda: mai come oggi, in Sardegna, ma non solo, siamo di fronte ad un'onda anomala che investe la politica: da una parte un tragico svuotamento di contenuti e, di contro, uno straripare di storielle più o meno accattivanti, ma legate da un fil rouge di belle parole e atmosfere sognanti.

In buona sostanza la politica ha via via lasciato il posto allo storytelling, l'arte di raccontare storie, narrazione che spesso prescinde dai contenuti: una tecnica comunicativa che comincia ad impossessarsi del campo politico verso la metà degli ani 90 e che oggi è diventata predominante.
L'hanno usata e la usano un po' tutti: Obama, Bush, Berlusconi, Vendola, Di Pietro. L'obiettivo non è quello di comunicare contenuti politici e convincere l'elettore della bontà delle proprie argomentazioni e soluzioni, ma semplicemente portarlo ad empatizzare con il "narratore", farlo innamorare della storia raccontata e spingerlo ad esprimere un voto sull'onda dell'emozione anziché del ragionamento.

Insomma, siamo di fronte ad una malattia della politica globale i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti: progressivo azzeramento ideologico, sostituzione della proposta con il sogno (pazienza se irrealizzabile e/o poco sincero), forte personalizzazione e conseguente identificazione intorno alla figura del leader (vi torna in mente qualcosa di già visto o studiato a proposito degli anni 20 e 30 del '900?)
E la politica vera in questo contesto che fine fa? Una brutta fine, mi pare evidente.

Ma adesso, come al solito, partendo dal contesto globale, focalizziamo la nostra attenzione sulla situazione sarda: stesso identico copione (giusto un po' più farsesco, ça va sans dire).
Ecco quindi la scena isolana: il palcoscenico è conteso da un manipolo di personaggi che con la loro compagnia di giro ci raccontano di mondi più o meno idilliaci, antichi splendori da riportare in auge e presunte età dell'oro (della serie "candu acapiànt is canis a sartitzu"), futuri radiosi in cui tutti vivremo in pace e prosperità, di soluzioni facili facili che il candidato di turno ci rivelerà con fare ieratico, sorrisi e sguardo accattivante. La politica dell'uovo di Colombo… solo che ci manca l'uovo. 
Se lo storytelling viene utilizzato nel marketing non ho nulla da dire, è una tecnica lecita: hai un prodotto da vendere e lo pubblicizzi nel modo più efficace; nessun problema, tutto eticamente corretto. Solo che la politica non è una merce o almeno non dovrebbe esserlo ed è per questo che non posso accettare che il cittadino elettore venga trasformato in consumatore del prodotto politico.

In un quadro così desolante allora che si fa? O si desiste o si resiste. Resistenza attiva, ovviamente.
Per questo io e i compagni di Manca Democràtica, da sempre avversi a leader carismatici, caudillos autoritari e vuoti ideologici, abbiamo accolto con estremo favore la nascita del Fronte Unidu Indipendentista (o come decideremo di chiamarlo): un luogo in cui non si raccontano storie, ma si fa politica, si cercano soluzioni, si analizza la realtà e si cerca di cambiarla a favore dei più, dove vince la forza delle idee, non del nome di grido, dove i programmi vengono prima dei candidati, dove, come avveniva nei veri partiti socialisti, sono le idee a guidare le azioni, non i nomi, dove la democrazia è agita, non solo evocata.
Non vi offriremo nessun happening fighetto, nessuna convention con i lustrini, ma proposte concrete per cambiare il nostro Paese, Proposte che sarete liberi di condividere o meno.
Anche questa è resistenza: la politica delle idee contro l'arte di raccontar storielle.

giovedì 21 febbraio 2013

Al voto nell'anno zero

Cosa sta succedendo alla politica? Siamo davanti a sconvolgimenti imprevedibili o semplicemente facciamo finta di non accorgercene?
L'aria che si respira è pesante, soffocante. I vecchi partiti sembrano preda di una paralisi irreversibile, incapaci di cambiare rotta, di rinnovarsi.
A nulla valgono giravolte, promesse e lifting elettorali: non si riesce a intravedere un vero cambio di rotta da nessuna parte. A complicare tutto c'è poi l'esperienza del governo Monti che ha legato insieme per oltre un anno buona parte delle forze presenti in parlamento; quelle stesse forze che oggi cercano di smarcarsi l'una dall'altra e tutte da quell'esperienza, ma che in quella strana e innaturale maggioranza hanno approvato tutto senza troppo fiatare, anche se oggi annaspano alla ricerca di soluzioni alternative in extremis, oserei anche dire fuori tempo massimo.

Dall'altra parte si affaccia all'orizzonte una nutrita schiera di sedicenti rivoluzionari, pronti, dicono, a demolire il passato e a promettere un radioso futuro fatto di soluzioni semplici ed efficaci che parlano, anzi urlano, direttamente alle viscere del cittadino medio.
Ultraliberisti "old style" da una parte, comunisti, post comunisti e giustizialisti dall'altra. E in mezzo, a far la parte del leone, il Movimento 5stelle, materializzazione degli incubi della politica classica e concentrato di populismo a buon mercato che però viene percepito da molti, pur tra mille timori, come l'unico mezzo disponibile per punire elettoralmente quella vecchia, inadeguata e pessima classe politica ora in fibrillazione.

Però... come usciremo da questa triste e squallida campagna elettorale? Male e con le ossa rotte senza dubbio. E con un parlamento ingovernabile.
Tira una brutta aria, irrespirabile e fredda come un tempo a Weimar. E come a Weimar la colpa della tragedia che seguì fu anche di chi non seppe dare risposte serie e assennate al disagio e alla sofferenza di un popolo.
Non voglio fare paragoni tra le forze che oggi cavalcano la protesta e quell'immane tragedia che fu il NSDAP, sia chiaro: quello che voglio dire è che siamo alla fine di un ciclo e come in passato dal palazzo si fatica a capire la portata di quel che verrà.

La seconda repubblica, copia malriuscita della già disastrosa prima repubblica, è al tramonto, la corruzione è rimasta la stessa, il malaffare in politica continua a imperversare e la crisi economica soffia forte su un incendio pericolosissimo. 

E in Sardegna che aria tira? La stessa aria asfissiante che si respira in Italia: vecchi e impresentabili nomi della politica sarda si confrontano con altrettanto impresentabili nuove leve, nel vuoto assoluto di proposte e di ideologie. Ah, l'ideologia! Questa parola fuori moda, bistrattata e ridotta a capro espiatorio sia da chi in passato l'ha cavalcata, svilita, svuotata e dileggiata, sia da chi, neo-futurista a tempo ormai scaduto, in nome del nuovo a tutti i costi, la elegge a simbolo del vecchio da distruggere e spazzare, responsabile di ogni male, preferendole un indefinito nulla, ma vestito di nuovo.
E invece no, fermiamoci un istante a pensare. Cos'è l'ideologia? Un sistema di valori e di ideali che guida coerentemente l'agire politico, lo ispira e lo sostiene.
C'è del male in questo? Io personalmente credo di no. Ecco allora che il crollo delle ideologie non è la liberazione del pensiero, ma la sua morte. Una condanna al vuoto.

In ogni caso, non so cosa accadrà in questa tornata elettorale, ma è probabile che assisteremo a un terremoto politico e dovremo vigilare tutti molto attentamente in questa fase di passaggio e di ricostruzione.

mercoledì 7 novembre 2012

L'assalto al Palazzo d'Inverno

Non facciamo ironia sulla rivoluzione, che però resta cosa seria e soprattutto temo sia più adatta ai libri di storia che alla politica contemporanea. Ma non è questo il punto.
Il punto è che oggi alcune centinaia di persone, autodefinitesi portavoce di tutto il popolo sardo, si sono radunate sotto il Consiglio Regionale  per reclamare le dimissioni dell'intera assemblea.
Ora, più che sui contenuti della protesta portata avanti dalla "consulta rivoluzionaria", che mi vedono in massima parte in disaccordo e che meriterebbero una riflessione a parte, vorrei concentrarmi sul metodo.

Per assurdo potremmo anche sostenere che il Consiglio Regionale, la vera e democraticamente eletta assemblea del popolo sardo, fosse interamente composto da rappresentanti della peggior specie (in realtà qualcuno lo è, ma altri no: non è possibile fare di tutta l'erba un fascio), ma per un semplicissimo quanto ferreo principio democratico, essendo stati eletti con libere elezioni hanno non solo il diritto, ma il dovere di rimanere in carica finchè la legislatura non arriva al termine per scadenza naturale o per ragioni politiche (come potrebbero esserlo eventuali dimissioni anticipate del presidente della Regione a seguito, per esempio, del venir meno della maggioranza che lo sostiene).
Se passasse il principio per cui un intero consiglio regionale si deve dimettere perchè lo chiedono alcuni manifestanti che usano toni minacciosi, parlano di rivoluzione e si autoarrogano il diritto di parlare a nome di tutti i sardi (che però non li hanno votati), cadrebbe come un castello di carte il principio base della democrazia rappresentativa e da quel momento in avanti qualunque consiglio e qualunque governo sarebbero costantemente a rischio, con il voto popolare che perderebbe del tutto il suo valore, ostaggio di piazze più o meno raccogliticce, più o meno esagitate.

Questo non significa affatto che il sottoscritto sia contro le manifestazioni di piazza, anzi: il diritto a manifestare il proprio pensiero è legittimo ed è fondamentale in una democrazia; quello che contesto sono i toni utilizzati in questo frangente, l'autoproclamarsi portavoce di un intero popolo, il proporsi di scardinare un impianto democratico, il populismo diffuso che fa leva sul malcontento.
Da quella piazza sento ad esempio parlare di "tribunali popolari" e devo ammettere che mi si ghiaccia il sangue nelle vene solo a pensarci. Ovviamente sono sicuro che nessuno abbia seriamente intenzione di istituire nessun tribunale popolare (lo spero!), ma sono parole pesanti che portano indietro nel tempo, ad anni pesanti e di cui credo nessuno possa sentire la nostalgia.
Altre voci si definiscono "gli anticorpi che questo popolo si è dato", raffigurando il sistema democratico esistente come una malattia e, nuovamente, autonominandosi portavoce del popolo.

Ecco, tutto qui. Legittimo manifestare il dissenso, legittimo anche usare toni un po' sopra le righe, ma trovo quanto meno discutibile porsi in aperto contrasto con le regole della democrazia.

sabato 6 ottobre 2012

Tiro al bersagio: campagna stampa contro Cuba

una trentina di ore fa era stata arrestata la blogger cubana Yoani Sanchez: pare volesse partecipare al processo che vede imputato per omicidio un esponente del PP spagnolo, Angel Carromero, coinvolto in un incidente d'auto in cui hanno perso la vita due "dissidenti" cubani, ma il rischio era che la sua partecipazione al processo si trasformasse in una sorta di show contro il governo cubano.
Fosse accaduto in un altro stato, gente così sarebbe stata definita "sovversiva insurrezionalista", ma se succede a Cuba diventano "dissidenti": quale stato permette a chicchessia di minare le basi su cui è fondato? Direi nessuno. Ma per Cuba questo diritto non vale.

In buona sostanza è nuovamente partita la campagna della stampa mondiale contro l'isola caraibica, fatta prima di informazioni mendaci sui casi di colera, poi di subdole insinuazioni sull'incidente in cui è imputato Carromero con la stampa internazionale che già vedeva oscuri disegni dei servizi segreti cubani, poi ancora il polverone sui giornalisti italiani che, spacciandosi per turisti (quindi dichiarando il falso per varcare la frontiera), indagavano su un caso di omicidio avvenuto in Italia in cui tra i sospettati c'è un cittadino cubano.

Ora, come previsto, a processo terminato la Sanchez è stata liberata e potrà tornare come sempre a scrivere le sue opinioni sul suo blog e farsi intervistare indisturbata per le strade de l'Havana dai media europei e americani. 
Tutto questo mentre gli US
A hanno inserito nuovamente Cuba tra gli stati "canaglia", ovvero quelli che sono considerati vicini o fiancheggiatori del terrorismo internazionale. Dimenticando il piccolo particolae che non solo Cuba non appoggia e non ha mai appoggiato alcun terrorista, ma che negli anni ha subito numerosi attentati sul proprio territorio, organizzati negli USA dai cosiddetti "dissidenti" (ma in realtà veri e propri terroristi), che hanno fatto registrare migliaia di morti.
Non è necessario essere comunisti o castristi per capire che si tratta di fango gettato sopra un'intera nazione.


Scusatemi, ma io non intendo partecipare a questo tiro al bersaglio ai danni, oltretutto, di uno stato da oltre 50 anni sotto un embargo ingiusto e crudele...

giovedì 13 settembre 2012

Lavoro: benvenuti all'inferno

Ricordate Emma Marcegaglia che, da presidente di Confindustria, inveiva contro lo sfruttamento e il lavoro nero? La stessa Marcegaglia che si faceva paladina dei lavoratori i cui diritti, a detta sua, sarebbero stati a rischio con la riforma Fornero.
La stessa Marcegaglia che però vorrebbe l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, togliendo di fatto le tutele ai pochi che ancora le hanno.
E ancora, la stessa Marcegaglia che nella sua struttura alberghiera di lusso, il Forte Village di santa Margherita di Pula, in provincia di Cagliari, sembrerebbe far soldi a palate sfruttando i lavoratori a cui, a fronte di paghe non certo invidiabili, non vengono neppure pagati gli straordinari fatti in turni di lavoro massacranti.
Racconta tutto per filo e per segno Daniele Garzia, che nel preciso resoconto della sua esperienza di lavoro al Forte (pubblicata sul blog Cagliarifornia, il cui link trovate a fondo pagina) ci parla di una struttura dalla facciata scintillante che cela dietro le quinte storie di ordinaria sopraffazione, ricatti e diritti negati. All'isola dei sogni per turisti facoltosi fa da contraltare l'inferno della manovalanza.

L'articolo ha suscitato un polverone e "Il fatto quotidiano" si è preso la briga di verificare i fatti cercando altre testimonianze di ex dipendenti del Forte Village (anche di questo trovate il link a fondo pagina): il risultato è stato un quadro desolante fatto di piccoli e grandi abusi, ricatti, vessazioni e assenza di diritti.

Il problema vero è a monte: il rispetto delle regole non può e non deve essere un optional; i lavoratori non dovrebbero sottostare a certe condizioni, ma come si fa in una terra come la Sardegna in cui la disoccupazione è così alta? Chi potrebbe permettersi di rifiutare un lavoro per questioni legate al rispetto dei diritti? Pochi, purtroppo.
La verità è che la disoccupazione e la povertà sono sempre state funzionali al grande capitale in cerca di "carne da macello": se il problema occupazionale non ci fosse, nessuno accetterebbe simili condizioni e chiunque manderebbe cortesemente a stendere chi osasse proporle.

Ma la disoccupazione c'è e c'è anche il precariato: nella ricostruzione dei fatti in questione scopriamo anche la totale assenza dei sindacati dalla struttura; come si può iscriversi a un sindacato quando si è precari? Chiunque lo facesse sarebbe certo di non avere più la possibilità di lavorare durante la stagione successiva.

Ma il Forte non è una realtà isolata: buona parte del sistema poggia ormai sulla totale assenza di diritti dei lavoratori, meglio ancora se precari. O meglio, i diritti ci sarebbero, ma solo sulla carta: provateci voi a farli rispettare in questa situazione!
La legge c'è, un lavoratore precario ha certamente dei diritti, la possibilità di iscriversi a un sindacato, di scioperare, di mettersi in malattia... sulla carta appunto. Nella realtà al primo passo falso è fuori, senza lavoro, senza stipendio e senza ammortizzatori sociali. La legge non tutela. La legge è fatta per essere sistematicamente aggirata.

La continua precarizzazione del lavoro, dunque, non può che acuire questa condizione. E senza neppure uno straccio di ammortizzatori sociali continueremo ad avere un esercito di lavoratori sfruttati, sottopagati, ricattati, che baratteranno la loro dignità per un tozzo di pane. E pure secco.

Evidentemente il conflitto capitale-lavoro (se non altro di un certo capitale) non è materia del passato: esiste eccome e si manifesta sempre nelle stesse forme laddove la logica del profitto prevalga sul rispetto dei diritti.


Link:

http://www.cagliarifornia.eu/2012/09/forte-village-una-stagione-allinferno.html

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09/11/forte-village-fortezza-sarda-della-marcegaglia-fattura-63-milioni-lanno-e-non-paga/348877/

giovedì 30 agosto 2012

Europa, avanti!

Nuovi (ma in realtà vecchi) pericolosi miti si affacciano all'orizzonte:
qualche tempo fa imperversava sui social network l'intervento al parlamento europeo di quel nazista conclamato di Nigel Farage, un personaggio che definire disgustoso è poco, e i suoi nuovi improvvisati fan lo esaltavano come salvatore delle patrie.
Ora vedo circolare un'immagine di Milton Friedman, un ultraliberista da pelle d'oca, amico e consigliere economico di quel criminale di Pinochet, uno le cui tesi fanno impallidire (praticamente l'esaltazione dell'evasione fiscale e del capitalismo selvaggio) e dal passato quantomeno imbarazzante.
Questa è la dimostrazione che la becera destra reazionaria sta facendo leva sul malcontento avventandosi sulle carcasse come fanno gli sciacalli.
Come negli anni '20 e '30 del secolo scorso, anche oggi in Europa, sulle macerie di un sistema al collasso si avventano coloro che si nutrono di carogne.
L'Europa è in crisi perchè non riesce a darsi un assetto politico vero e completo, dilaniata dai piccoli interessi di bottega e dominata dalla finanza e dalle sue speculazioni; e intanto gli sciacalli banchettano sulla sua carcassa.
Se l'Europa vuole scongiurare il rischio di un ritorno ad un passato nefasto, se vuole liberarsi davvero del virus fascista, se non vuole piombare nella tenebra che ha già conosciuto, allora deve affrettarsi a cambiare rotta e darsi un vero assetto federale, un vero governo politico e un vero parlamento.
Un ruolo importante in questo percorso, come in passato, spetta ai partiti che fanno parte della tradizione socialista, in modo da rendere la casa comune europea un esempio avanzato di diritti e garanzie.
Il tempo stringe. Avanti!