mercoledì 7 novembre 2012

L'assalto al Palazzo d'Inverno

Non facciamo ironia sulla rivoluzione, che però resta cosa seria e soprattutto temo sia più adatta ai libri di storia che alla politica contemporanea. Ma non è questo il punto.
Il punto è che oggi alcune centinaia di persone, autodefinitesi portavoce di tutto il popolo sardo, si sono radunate sotto il Consiglio Regionale  per reclamare le dimissioni dell'intera assemblea.
Ora, più che sui contenuti della protesta portata avanti dalla "consulta rivoluzionaria", che mi vedono in massima parte in disaccordo e che meriterebbero una riflessione a parte, vorrei concentrarmi sul metodo.

Per assurdo potremmo anche sostenere che il Consiglio Regionale, la vera e democraticamente eletta assemblea del popolo sardo, fosse interamente composto da rappresentanti della peggior specie (in realtà qualcuno lo è, ma altri no: non è possibile fare di tutta l'erba un fascio), ma per un semplicissimo quanto ferreo principio democratico, essendo stati eletti con libere elezioni hanno non solo il diritto, ma il dovere di rimanere in carica finchè la legislatura non arriva al termine per scadenza naturale o per ragioni politiche (come potrebbero esserlo eventuali dimissioni anticipate del presidente della Regione a seguito, per esempio, del venir meno della maggioranza che lo sostiene).
Se passasse il principio per cui un intero consiglio regionale si deve dimettere perchè lo chiedono alcuni manifestanti che usano toni minacciosi, parlano di rivoluzione e si autoarrogano il diritto di parlare a nome di tutti i sardi (che però non li hanno votati), cadrebbe come un castello di carte il principio base della democrazia rappresentativa e da quel momento in avanti qualunque consiglio e qualunque governo sarebbero costantemente a rischio, con il voto popolare che perderebbe del tutto il suo valore, ostaggio di piazze più o meno raccogliticce, più o meno esagitate.

Questo non significa affatto che il sottoscritto sia contro le manifestazioni di piazza, anzi: il diritto a manifestare il proprio pensiero è legittimo ed è fondamentale in una democrazia; quello che contesto sono i toni utilizzati in questo frangente, l'autoproclamarsi portavoce di un intero popolo, il proporsi di scardinare un impianto democratico, il populismo diffuso che fa leva sul malcontento.
Da quella piazza sento ad esempio parlare di "tribunali popolari" e devo ammettere che mi si ghiaccia il sangue nelle vene solo a pensarci. Ovviamente sono sicuro che nessuno abbia seriamente intenzione di istituire nessun tribunale popolare (lo spero!), ma sono parole pesanti che portano indietro nel tempo, ad anni pesanti e di cui credo nessuno possa sentire la nostalgia.
Altre voci si definiscono "gli anticorpi che questo popolo si è dato", raffigurando il sistema democratico esistente come una malattia e, nuovamente, autonominandosi portavoce del popolo.

Ecco, tutto qui. Legittimo manifestare il dissenso, legittimo anche usare toni un po' sopra le righe, ma trovo quanto meno discutibile porsi in aperto contrasto con le regole della democrazia.