lunedì 7 ottobre 2013

Cercare soluzioni politiche o raccontar favole?



Preferite chi cerca soluzioni politiche o chi racconta favole?
La mia non vuole esse una sterile provocazione, ma un'analisi della realtà politica che ci circonda: mai come oggi, in Sardegna, ma non solo, siamo di fronte ad un'onda anomala che investe la politica: da una parte un tragico svuotamento di contenuti e, di contro, uno straripare di storielle più o meno accattivanti, ma legate da un fil rouge di belle parole e atmosfere sognanti.

In buona sostanza la politica ha via via lasciato il posto allo storytelling, l'arte di raccontare storie, narrazione che spesso prescinde dai contenuti: una tecnica comunicativa che comincia ad impossessarsi del campo politico verso la metà degli ani 90 e che oggi è diventata predominante.
L'hanno usata e la usano un po' tutti: Obama, Bush, Berlusconi, Vendola, Di Pietro. L'obiettivo non è quello di comunicare contenuti politici e convincere l'elettore della bontà delle proprie argomentazioni e soluzioni, ma semplicemente portarlo ad empatizzare con il "narratore", farlo innamorare della storia raccontata e spingerlo ad esprimere un voto sull'onda dell'emozione anziché del ragionamento.

Insomma, siamo di fronte ad una malattia della politica globale i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti: progressivo azzeramento ideologico, sostituzione della proposta con il sogno (pazienza se irrealizzabile e/o poco sincero), forte personalizzazione e conseguente identificazione intorno alla figura del leader (vi torna in mente qualcosa di già visto o studiato a proposito degli anni 20 e 30 del '900?)
E la politica vera in questo contesto che fine fa? Una brutta fine, mi pare evidente.

Ma adesso, come al solito, partendo dal contesto globale, focalizziamo la nostra attenzione sulla situazione sarda: stesso identico copione (giusto un po' più farsesco, ça va sans dire).
Ecco quindi la scena isolana: il palcoscenico è conteso da un manipolo di personaggi che con la loro compagnia di giro ci raccontano di mondi più o meno idilliaci, antichi splendori da riportare in auge e presunte età dell'oro (della serie "candu acapiànt is canis a sartitzu"), futuri radiosi in cui tutti vivremo in pace e prosperità, di soluzioni facili facili che il candidato di turno ci rivelerà con fare ieratico, sorrisi e sguardo accattivante. La politica dell'uovo di Colombo… solo che ci manca l'uovo. 
Se lo storytelling viene utilizzato nel marketing non ho nulla da dire, è una tecnica lecita: hai un prodotto da vendere e lo pubblicizzi nel modo più efficace; nessun problema, tutto eticamente corretto. Solo che la politica non è una merce o almeno non dovrebbe esserlo ed è per questo che non posso accettare che il cittadino elettore venga trasformato in consumatore del prodotto politico.

In un quadro così desolante allora che si fa? O si desiste o si resiste. Resistenza attiva, ovviamente.
Per questo io e i compagni di Manca Democràtica, da sempre avversi a leader carismatici, caudillos autoritari e vuoti ideologici, abbiamo accolto con estremo favore la nascita del Fronte Unidu Indipendentista (o come decideremo di chiamarlo): un luogo in cui non si raccontano storie, ma si fa politica, si cercano soluzioni, si analizza la realtà e si cerca di cambiarla a favore dei più, dove vince la forza delle idee, non del nome di grido, dove i programmi vengono prima dei candidati, dove, come avveniva nei veri partiti socialisti, sono le idee a guidare le azioni, non i nomi, dove la democrazia è agita, non solo evocata.
Non vi offriremo nessun happening fighetto, nessuna convention con i lustrini, ma proposte concrete per cambiare il nostro Paese, Proposte che sarete liberi di condividere o meno.
Anche questa è resistenza: la politica delle idee contro l'arte di raccontar storielle.

giovedì 21 febbraio 2013

Al voto nell'anno zero

Cosa sta succedendo alla politica? Siamo davanti a sconvolgimenti imprevedibili o semplicemente facciamo finta di non accorgercene?
L'aria che si respira è pesante, soffocante. I vecchi partiti sembrano preda di una paralisi irreversibile, incapaci di cambiare rotta, di rinnovarsi.
A nulla valgono giravolte, promesse e lifting elettorali: non si riesce a intravedere un vero cambio di rotta da nessuna parte. A complicare tutto c'è poi l'esperienza del governo Monti che ha legato insieme per oltre un anno buona parte delle forze presenti in parlamento; quelle stesse forze che oggi cercano di smarcarsi l'una dall'altra e tutte da quell'esperienza, ma che in quella strana e innaturale maggioranza hanno approvato tutto senza troppo fiatare, anche se oggi annaspano alla ricerca di soluzioni alternative in extremis, oserei anche dire fuori tempo massimo.

Dall'altra parte si affaccia all'orizzonte una nutrita schiera di sedicenti rivoluzionari, pronti, dicono, a demolire il passato e a promettere un radioso futuro fatto di soluzioni semplici ed efficaci che parlano, anzi urlano, direttamente alle viscere del cittadino medio.
Ultraliberisti "old style" da una parte, comunisti, post comunisti e giustizialisti dall'altra. E in mezzo, a far la parte del leone, il Movimento 5stelle, materializzazione degli incubi della politica classica e concentrato di populismo a buon mercato che però viene percepito da molti, pur tra mille timori, come l'unico mezzo disponibile per punire elettoralmente quella vecchia, inadeguata e pessima classe politica ora in fibrillazione.

Però... come usciremo da questa triste e squallida campagna elettorale? Male e con le ossa rotte senza dubbio. E con un parlamento ingovernabile.
Tira una brutta aria, irrespirabile e fredda come un tempo a Weimar. E come a Weimar la colpa della tragedia che seguì fu anche di chi non seppe dare risposte serie e assennate al disagio e alla sofferenza di un popolo.
Non voglio fare paragoni tra le forze che oggi cavalcano la protesta e quell'immane tragedia che fu il NSDAP, sia chiaro: quello che voglio dire è che siamo alla fine di un ciclo e come in passato dal palazzo si fatica a capire la portata di quel che verrà.

La seconda repubblica, copia malriuscita della già disastrosa prima repubblica, è al tramonto, la corruzione è rimasta la stessa, il malaffare in politica continua a imperversare e la crisi economica soffia forte su un incendio pericolosissimo. 

E in Sardegna che aria tira? La stessa aria asfissiante che si respira in Italia: vecchi e impresentabili nomi della politica sarda si confrontano con altrettanto impresentabili nuove leve, nel vuoto assoluto di proposte e di ideologie. Ah, l'ideologia! Questa parola fuori moda, bistrattata e ridotta a capro espiatorio sia da chi in passato l'ha cavalcata, svilita, svuotata e dileggiata, sia da chi, neo-futurista a tempo ormai scaduto, in nome del nuovo a tutti i costi, la elegge a simbolo del vecchio da distruggere e spazzare, responsabile di ogni male, preferendole un indefinito nulla, ma vestito di nuovo.
E invece no, fermiamoci un istante a pensare. Cos'è l'ideologia? Un sistema di valori e di ideali che guida coerentemente l'agire politico, lo ispira e lo sostiene.
C'è del male in questo? Io personalmente credo di no. Ecco allora che il crollo delle ideologie non è la liberazione del pensiero, ma la sua morte. Una condanna al vuoto.

In ogni caso, non so cosa accadrà in questa tornata elettorale, ma è probabile che assisteremo a un terremoto politico e dovremo vigilare tutti molto attentamente in questa fase di passaggio e di ricostruzione.