lunedì 12 marzo 2012

Non sarà l'Italia a salvare il sardo

E' di questi giorni la notizia che il governo italiano, con la ratifica della Carta Europea delle lingue minoritarie o regionali, ha finalmente riconosciuto pienamente la lingua sarda tra le 12 lingue minoritarie dello stato italiano.
Ma nel concreto cosa significa? Poco e nulla: si riconosce il diritto ad utilizzare il sardo anche in ambito ufficiale (ma questo era già previsto, seppur raramente applicato) e la possibilità di insegnarlo nelle scuole. Bene. E quindi?
E quindi senza una volontà da parte dei sardi stessi e delle istituzioni tutto rimarrà com'è.
Intanto si parla di "possibilità" di insegnamento nelle scuole, cioè non è automatico e se nessuno provvederà ad agire in tal senso tutto continuerà come adesso.

Credo sinceramente che sia inutile continuare a sperare che sia lo stato italiano a dover tutelare la nostra lingua quando noi invece continuiamo ad affossarla giorno dopo giorno.
Per salvare il sardo dall'estinzione dobbiamo superare una serie di ostacoli che noi stessi abbiamo costruito nel tempo:

per prima cosa sarebbe utile smettere di arrovellarsi sulla questione dello standard unico, diatriba incessante quanto dannosa e sterile che ha portato solo a esperimenti fallimentari come LSU e LSC, castelli di carte che sono immediatamente crollati su se stessi; il sardo ha già due standard codificati nel tempo e non credo sia un dramma adottarli entrambi come si fa in altri paesi, non ultima ad esempio la Norvegia, dove Bokmål e Nynorsk convivono senza problemi (e dove anche l'uso dei dialetti locali è ovunque comunemente accettato e questi vengono considerati parte della lingua norvegese a tutti gli effetti).

C'è poi il problema culturale, difficile da superare, ma ovviamente ineludibile: se infatti è vero che il sardo è miracolosamente sopravvissuto alla furia italianizzatrice dei Savoia e del fascismo prima e dello stato repubblicano poi, è vero anche che oggi non gode certo di ottima salute e paghiamo ancora un'ignoranza indotta che dagli anni 50 in poi si è rinvigorita e ha portato ad espellere la lingua autoctona anche dal ristretto ambito familiare. Se oggi in pochi parlano il sardo è anche e soprattutto perchè negli anni passati le famiglie sarde, con la scuola e le istituzioni come "mandanti", imponevano ai bambini l'uso dell'italiano sempre e comunque, col risultato che ci troviamo ora intere generazioni che il sardo non lo parlano e al limite riescono a capirlo.
Quanti avranno sentito più volte frasi del tipo "non parlare in sardo che è grezzo"? Scommetto molti.
Ancora oggi alcuni strati della società, soprattutto la middle class urbana, considera l'uso del sardo come qualcosa da evitare e legato a un basso livello culturale, roba da "bidduncoli", giusto per intenderci.
In questo contesto la lingua sarda è stata perciò declassata, al limite, a lingua del gioco e dello sberleffo, ma nulla di più.
E' in questo contesto dunque che bisogna agire: molte volte si prova a fare il paragone tra il sardo e il catalano, interrogandosi sul perchè quest'ultimo, dopo la violenza anche culturale praticata dal franchismo, sia oggi una lingua più che mai viva, vitale e largamente usata a tutti i livelli, mentre in Sardegna siamo ancora nella situazione che ben conosciamo. Semplicemente in Catalogna tutti gli strati culturali hanno consapevolezza del valore della lingua nazionale, mentre in Sardegna questo ancora non succede.

Per questo dico che non è possibile pensare che la salvezza del sardo possa arrivare dall'Italia o comunque da fuori, quando i peggiori nemici della nostra lingua li abbiamo in casa e non facciamo nulla per cambiare le cose.

Le istituzioni sarde cosa fanno per il sardo? Nulla se non una serie di stanziamenti di fondi più o meno cospicui che spesso si perdono in inutili iniziative come libri o riviste che nessuno legge o programmi radiofonici o televisivi che nessuno segue e che si occupano di folklore o poco più.
Intanto la nostra editoria locale è quasi interamente italofona, la comunicazione pubblicitaria usa solo ed esclusivamente l'italiano, la segnaletica bilingue è quasi un'utopia e il sardo nell'amministrazione pubblica è una sorta di paravento che copre l'inerzia in campo linguistico.

Ben venga dunque la ratifica della Carta Europea delle lingue minoritarie, ma dobbiamo ancora lavorare molto su noi stessi.

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