venerdì 6 aprile 2012

Purchè a farsi la guerra siano i figli del popolo...


A Taranto come in Sardegna, come in altre decine di luoghi va in scena la stessa commedia.
A Taranto come in Sardegna si scontrano i lavoratori dell’industria pesante e gli ambientalisti duri e puri che, per ragioni contrapposte, difendono le loro posizioni senza voler sentire gli uni le ragioni degli altri. E si scontrano due generazioni di lavoratori, due categorie l'una contro l'altra armate (per fortuna solo in senso figurato): i precari e i lavoratori più garantiti (per ora).

Ma quali sono nello specifico le posizioni in campo e gli attori di questa commedia nera?
Gli attori sono quelli che un tempo avremmo chiamato proletari, parola che ora non va più di moda, ma che vorrei continuare ad utilizzare per chiarezza: figli del popolo che traggono la propria sussistenza dal lavoro proprio e delle loro famiglie, ammesso che ce l’abbiano.

Sono figli del popolo gli operai dell’industria e lo sono anche i ragazzi (qualcuno comincia già a non esserlo più) che lavorano con contratti precari, sottopagati, senza garanzie e senza neppure l'ombra di un qualsivoglia ammortizzatore sociale; e si fronteggiano su temi spinosi e delicati come i diritti, la salvaguardia dell’ambiente e la qualità del lavoro. Ma chi avrà ragione? Tutti e nessuno.

La realtà è che al capitale questa situazione fa incredibilmente comodo;  hanno tentato di farci credere che per dare diritti ai precari era necessario toglierli a quelli che venivano definiti “lavoratori ultragarantiti”, ma la verità è un’altra: il lavoro garantito nasce da lotte sindacali dure e sofferte e lo statuto dei lavoratori è il risultato di una vittoria che andrebbe difesa ogni giorno. Ora è chiaro che la precarizzazione del lavoro è stata fin da subito un’operazione  strumentale allo scardinamento di quei diritti, portando a contrapposizione due categorie di lavoratori e facendo credere ai figli che per loro le conquiste in termini di diritti potevano avvenire solo andando a intaccare quelle dei padri.
Ovviamente non c'è niente di più falso. I diritti devono essere uguali per tutti e l’unica soluzione sarebbe quella di estendere le garanzie a coloro che non le hanno. Ma questo va chiaramente contro gli interessi di una parte del mondo imprenditoriale (non tutto, per fortuna) che vorrebbe il lavoratore costantemente sotto ricatto, possibilmente sottopagato e facilmente licenziabile.

Ma cosa c'entra in tutto questo la questione ambientale? Apparentemente nulla, ma a ben guardare non è proprio così: se da un lato le contrapposizioni sulla questione dei diritti sono funzionali alla volontà di scardinare lo statuto dei lavoratori, dall'altra la questione ambientale lo è rispetto ad un atteggiamento che non esiterei a definire piratesco per cui il profitto può passare impunemente anche attraverso l'avvelenamento dei territori. Anche in questo caso dunque i lavoratori sono usati come ariete per difendere posizioni indifendibili.
Ma non finisce qui, perchè oltre a inquinare senza pagare pegno in molti casi si cercano anche fondi pubblici sotto forma di sconti sulle tariffe energetiche, incentivi e contributi di vario genere per mantenere industrie che semplicemente non hanno più ragione d'essere nei territori sui quali insistono e che sono comunque destinate ad andare altrove: sembra l'ultimo disperato tentativo di rastrellare il più possibile prima di chiudere i battenti e scappare col bottino.

Chi esce totalmente sconfitto da questa guerra, quindi? Semplicemente chi si fa arruolare in prima linea per difendere interessi altrui, ma anche chi sbaglia obiettivo: il nemico non è mai il lavoratore, che chiaramente ha la necessità di mantenere il proprio lavoro, quindi la possibilità di vivere dignitosamente, soprattutto in assenza di alternative e di veri ammortizzatori sociali.
E non è possibile chiedere o permettere la chiusura di un'industria senza prima avere un piano alternativo per garantire il lavoro a chi vi era impiegato, così come non si possono sbandierare operazioni di bonifica senza sapere esattamente chi e come le pagherà.
Questo è, a sinistra, il compito della politica: creare un modello alternativo che permetta di produrre senza devastare il territorio e salvaguardando la dignità dei lavoratori, difendendone ed estendendone i diritti e le protezioni.



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